(Fonte: www.healthdesk.it)
«Dottore il bimbo è raffreddato, fa una specie di fischio. Cosa posso fare?» Alzi la mano la mamma che non ha fatto questa domanda al medico del proprio bambino. E anche quella che non si è sentita rispondere: «Tranquilla, un po’ di aerosol per qualche giorno e si rimetterà». Il problema è che sull’efficacia di questa abitudine tanto diffusa tra i medici non si sa molto. Nè se sia efficace, né se sia sicura.
Ora, uno studio condotto dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri si fa carico di bocciare, dati alla mano, questa pratica clinica. Ma procediamo con ordine. Le infezioni delle vie aeree superiori (rappresentate più frequentemente dal comune raffreddore) sono caratterizzate da naso chiuso e colante, a volte associato a mal di gola e febbre, qualche volta a tosse, raucedine, occhi rossi e ingrossamento delle ghiandole linfatiche del collo. Sono causati da virus che interessano il naso e la gola e si diffondono da una persona all’altra per mezzo di starnuti, colpi di tosse o con le mani sporche di muco, per contatto con soggetti ammalati o attraverso oggetti contaminati.
Nei bambini più piccoli, nel corso delle infezioni delle vie aeree compare frequentemente anche una bronchite asmatica o il cosiddetto wheezing virale (una specie di fischio durante la respirazione. Il fischio, che è dovuto a una contrazione anomala della muscolatura liscia dei bronchi e che causa un restringimento della spazio all’interno delle vie respiratorie, in genere tende a ricomparire, ma si risolve spontaneamente. Salvo rari casi in cui può esserci anche l’insorgenza di asma.
Ora, nel nostro paese è frequente l’uso di cortisonici per aerosol, in particolare di beclometasone, per la prevenzione e per il trattamento del wheezing virale. Tanto che il beclometasone è il terzo farmaco più prescritto ai bambini italiani: si stima che venga prescritto ogni anno ad almeno il 18% dei bambini in età prescolare, una percentuale 3 volte più elevata di quella descritta in altri paesi europei.
Il problema è che non ci sono molti dati che supportino questa pratica clinica.
Finalmente un po’ di chiarezza è arrivata da uno studio clinico randomizzato finanziato dall’Agenzia Italiana del Farmaco e realizzato dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” di Milano, in collaborazione con l’Associazione Culturale Pediatri e con il Centro di Economia Sanitaria “Angelo e Angela Valenti”. Lo studio ha coinvolto 36 pediatri di famiglia di 9 differenti Asl del territorio nazionale e 576 bambini di età compresa tra 1 e 5 anni che hanno ricevuto il farmaco o un placebo. Ebbene, il medicinale ha ridotto del 4% l’incidenza del wheezing rispetto al placebo. Una differenza troppo piccola per poter parlare di efficacia. E di cui neanche i genitori dei bambini si sono resi conto. Infatti, «i genitori, che non erano a conoscenza del tipo di terapia ricevuta dal figlio, hanno giudicato come efficace sia il trattamento con il farmaco sia con il placebo», ha Antonio Clavenna, ricercatore del Mario Negri che ha coordinato lo studio. Inoltre, i bambini che hanno ricevuto il farmaco non hanno mostrato minori probabilità di essere visitati nuovamente dal pediatra, di accedere al Pronto Soccorso, o di essere ricoverati in ospedale. Insomma, ha chiosato il direttore del Mario Negri Silvio Garattini, «lo studio documenta ancora una volta il divario tra la frequente prescrizione di un farmaco e la scarsità di evidenze a supporto della sua efficacia».